Domanda: può una madre dichiararsi “pentita”?

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Ieri sera ho letto un post scomodo, diretto e a tratti opinabile, questo in cui l’autrice si dichiara forse pentita del suo secondo figlio. Ebbene il post in molte parti potrei sottoscriverlo ora, tranne nel pentirsi, perché nonostante l’estrema stanchezza che mi assale spesso e nonostante la mancanza che sento a volte della Sara di prima e della vita più silenziosa e libera di prima non mi pento di nessuna delle mie tre scelte, anzi MAI PIÚ SENZA!

Avevo letto da poco un articolo su F di Antonella Fiori, in cui si cita lo scomodo tabù che sta emergendo da uno studio della sociologa israeliana Orna Donath ( Ben Gurion University) riassunto in un saggio intitolato “Regretting Motherhood” ,contenente 23 testimonianze di donne pentite di non aver desiderato il figlio che hanno avuto, spesso per pressioni sociali o familiari.

Un libro che sta scatenando uno spolverone mondiale su un non detto sommerso, nascosto e difficile da manifestare ma quando viene buttato fuori, a detta della psicologa junghiana Enrichetta Buchli che se ne è occupata nel suo libro “Io non amavo mia madre”, aiuta a trovare delle soluzioni in senso positivo e a chiedere scusa ai propri figli per le proprie deffailances.

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“Meglio una madre pentita” dichiara “che una madre frustrata come una belva in gabbia che è dannosissima per i figli”, perché “una madre che fa luce su se stessa, che non si mente, che prende coscienza di aver fatto una scelta non appropriata per la sua inclinazione fa un atto molto coraggioso.”

“Una donna che dice “rinuncerei ai miei figli anche se li amo immensamente” non è una contraddizione perché da sempre il sentimento di ambivalenza è legato all’origine del senso materno. Già fu così nella mitologia da Demetra, madre generosa a Ecate Lamia, che tratteneva i bambini nel suo ventre”.

Queste donne “pentite” spesso “sentono il peso di sentirsi identificate in uno stereotipo, obbligate ad espletare un ruolo che non sentono loro. Hanno un attaccamento verso i figli, ma rifiutano la funzione materna. È importante che lo riconoscano per non innescare un attaccamento insicuro, pericoloso per i figli sopratutto in adolescenza.

“Queste madri “guariscono” quando riescono ad occuparsi di una “generatività interiore: iscriversi all’università, recuperare una passione abbandonata…per diventare artiste della propria vita. Una volta che lo riconoscono e recuperano questa parte di loro ritrovano i propri figli, in modo non narcisistico, non patologico “ma di genitore che soffia nelle ali, che non trova nel figlio un corononamento di perfezione personale, un’assicurazione sulla vita.

Una madre che si perde e si ritrova è una madre che sa chiedere scusa, che sa dare un messaggio prezioso ai propri figli: ho dei limiti ma ci sto provando a gestirli, a superarli ma per primo ad accettarli.

La ricerca citata all’inizio della Regretting Motherhood vede madri che si sentono “incatenate” per tutta la vita perché non sentono quella vocazione genitoriale, edulcorata e totalizzante ma vedono il figlio come oggetto che le limita.

Il quid è pensare ai figli  davvero come frecce, non sono nostri, vanno educati a diventare altro da noi, con principi e valori trasmessi ma sono protesi verso il mondo e pensarli così in progress, in viaggio fa sentire liberi loro ma fa sentire liberi anche noi!

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Io non mi sono mai pentita di avere i nostri bambini, mi sono sentita spaventata, mi sono sentita oppressa, mi sono sentita inadeguata, mi sono sentita appagata, soddisfatta, sazia e di nuovo assetata, spremuta, assolta e accusata ma non mi sono mai pentita e di questa ambivalenza mi nutro per non sbagliare più nello stesso modo, per sbagliare meno e per guardare il mondo con i loro occhi che 3 cose belle le sanno trovare e scrivere e io le annoto e imparo a guardare il piccolo, il dettaglio, il colore.

Perché una mamma è una “stanca di guerra” come recita Lella Costa, ora che ci siete dentro o quasi dentro, “ragazze”ci vuole ironia, tanta ironia per fare le mamme e ci vuole INDULGENZA: io mi debbo perdonare almeno 5 volte al giorno per un urlo, uno stizzo, un broncio di troppo.

Ci vuole anche un sano “ma diciamocelo” tra mamme, complicità ed occhiolini.

 

“Salve, io sono tua madre. Mi pare corretto e doveroso informarti che,secondo una scuola di pensiero contemporanea molto diffusa e attendibile,il mio ruolo è destinato ad essere centrale e devastante.

Puoi tranquillamente attribuire a me la colpa del 90% di tutti i tuoi guai,problemi,sfighe,frustrazioni e catastrofi”

Si perché carissime partiamo già scariche con un fardello di responsabilità colpevole non da poco

“È che va tutto talmente in fretta…

Sei appena riuscita a scoprire qual’è il punto preciso in cui il tuo braccio si adatta perfettamente alla forma della sua testa,che lui già la tira su la testa, e si guarda in giro da solo. ….

“Mamma, ho fatto un sogno orribile,mamma vieni qui… Mamma dove sono i miei jeans, libri, calzettoni, barbie… Mamma ho un mal di testa bestiale…mamma, fa male, mamma fa tanto male, mamma mamma mamma…”e tu non sei capace. Ma fai finta benissimo.

Fai finta di essere tu quella che è li per dare, abnegarsi, sacrificarsi, curare. Ma in realtà sai perfettamente che in tutto questo TU sei quella che prende. Sei li e fai incetta a mani basse di tutte queste parole, gesti, corpi, odori.

E c’è questa pienezza tale, questa TALE E SCOSTUMATA, INDECENTE FELICITÀ che se anche lei adesso va via per conto suo comunque tra noi non può finire qui, deve per forza restare dentro di lei una specie di tesoro, di scrigno segreto di cui neanche sa di avere la chiave …. E allora?

e allora prendiglieli tu i remi, e daglieli. E anche la barca, piccola, a vela… Però daglieli tu, e aiutala a partire.

Non con quella faccia. E che faccia devo fare?

“Bene, visto che ritieni di essere grande abbastanza… “Tu dille soltanto ciao, ma guardava andar via. 

“E allora ciao, piccola barca, piccolo rematore. Buon viaggio, buon vento, e grazie.”

I figli non sono un limite, ti danno dei limiti ma sono una possibilità, sempre!

La logistica, i servizi mancanti, il denaro, il lavoro, i sospesi di coppia sono limiti, i figli NO…loro sono l’infinito umano! cit. Niccolò Fabi

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2 Commenti

  1. Postato 08/04/2016 at 2:57 pm | Permalink

    Ecco già questo mi piace di più. Io sono d’accordo che si debba anche dire “cacchio sono stanca e oggi non ce la faccio più”. Però qui secondo me sta l’errore di fondo, il non delegare mai niente a nessuno. So che tu hai sicuramente una situazione più difficile della mia perché per la maggior parte del tempo sei sola a badare ai bimbi. Io ho la fortuna di avere un marito sempre presente. Ora anche un po’ troppo visto la disoccupazione, ma spero per poco, in ogni caso anche quando lavorava, lui tornava a casa e mi lasciava spazio. Dopo una doccia e un attimino di pausa, i figli se li prendeva lui. E io ho tempo per dedicarmi anche a me stessa. Quello che rovina secondo me è quel “sacrificarsi per i figli”, che si va bene farlo per necessità particolari, ma fino a un certo punto. Io non devo rinunciare alla mia vita per loro, devo vivere la mia vita CON loro. Ho voglia di andare a correre? Lo faccio, i primi tempi lo facevo con il passeggino, ora mi prendo un’oretta per me, sono iscritta Yoga, ma anche senza uscire, basta prendersi una mezzoretta. Devi completare degli studi, lo fai on line? Guarda MIchela che tutti conosciamo, sta facendo una fatica tremenda, ma si è rimessa a studiare per prendere la laurea. La vita prima dei figli non mi manca per niente, perché faccio altre cose con loro. E no non potrei pensare ora a una vita senza di loro.

  2. Postato 09/04/2016 at 6:41 pm | Permalink

    Hai ragione il supporto quotidiano è fondamentale, sono la solitudine e l’isolamento ad amplificare i malesseri e i magoni!
    Anche io quando stacco rinasco con loro con nuove energie e sottoscrivo MAI PIU’ SENZA!

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